Avverto la sua presenza, le sue gelide dita sulla gola. Sento i suoi terribili gemiti che ritornano come affannati ricordi. Cerco invano di prendere sonno assalita da allucinanti spasmi di terrore. Vedo un unica salvezza, lo shock del risveglio. C'è qualcosa di molto, molto strano in questo luogo.
Sono passati ben tredici anni da quando
Roberta Williams, fondatrice della Sierra e autrice della serie
King’s Quest, ha concepito questa affascinante storia horror. Al tempo, quando alcuni dei migliori titoli per PC avevano ancora il floppy come supporto, il solo fatto che un videogame fosse distribuito in 7 CD bastava a terrorizzare i comuni possessori di un Pentium 133 come me. Il bollino rosso, con il numero 18 impresso come un marchio a fuoco sulla scatola, era un ulteriore incentivo all’acquisto di un prodotto che prometteva contenere “sequenze adatte solo a un pubblico maturo”. Ma è il caso di spostare il segnalibro oltre le involontarie operazioni di marketing della censura e di calarsi nel mondo di
Phantasmagoria.
L’intera vicenda ruota intorno all’antica quanto inquietante tenuta Carnovasch, un maniero situato sulla costa del New Hampshire. La scena di apertura è dedicata proprio a questa struttura macabra, capace di catturare l’attenzione di un fotografo professionista quasi fosse dotata di vita propria. Sin dalle prime immagini, frutto di un incubo somigliante ad un oscuro presagio, ci si rende conto di quanto Phantasmagoria non si celi dietro il pallido alone di un thriller mal riuscito. Infatti, i suoi tratti gore e surreali ci vengono immediatamente spiattellati in faccia, trascinandoci in una sorta di classica “casa delle streghe” da luna-park, dove mutilazioni corporee e strumenti di tortura tipici degli psicopatici più fantasiosi, sono in netto contrasto con la delicata bellezza della protagonista di cui vestiremo i panni: Adrienne.
Adrienne Delaney (Victoria Morsell è il vero nome dell’attrice), scrittrice di Boston che ha già ottenuto un discreto successo con il suo primo romanzo, e suo marito Donald Gordon (il fotografo dell’introduzione) hanno deciso di acquistare la vecchia tenuta dei Carnovasch e di trasferirsi lì insieme al loro gattone Spence, nella speranza di trovare ispirazione da un luogo così suggestivo.
Fin dal primo giorno, Adrienne si sente turbata e crede che la casa celi qualcosa di misterioso. Aiutandola nella indagini, scopriremo che i suoi non sono solo sospetti ma agghiaccianti verità . L’ultimo proprietario della tenuta era un certo Zoltan Carnovasch, meglio noto come Carno, un famoso illusionista attratto dall’occultismo e, in particolare, dalla magia nera. Grazie ad un antico libro consegnatogli da un amico, Carno riuscì ad invocare un demone e, divenuto inconsapevolmente ospite dell’entità malvagia, consumò una serie di delitti inquietanti, le cui vittime furono le sue cinque mogli.
Oggetti insoliti e apparizioni spettrali sono la prova diretta di quanto accaduto un secolo prima alla tenuta Carnovasch. Ad arricchire i nostri sospetti e le nostre nozioni, partecipano con un certo timore gli abitanti del vicino villaggio di Nipawomsett, con le tipiche dicerie di un minuscolo ed isolato centro abitato della campagna del New England. Fra tutti, rivestirà un ruolo fondamentale nell’intera faccenda il decrepito Malcom, un tempo giovane aiutante di Carno, sopravvissuto alla follia del suo mentore.
Tutto questo, per quanto inquietante, rimane solo una serie di intangibili eventi per la bella Adrienne, almeno fin quando non ritroveremo il libro che ha sprigionato tanta malvagità e follia. In una piccola cripta, nascosta oltre un muro di mattoni di cui non potremo fare a meno di sbarazzarci, il tomo aspetta solo il nostro arrivo. Non appena curioseremo tra le sue pagine, l’entità demoniaca sarà nuovamente liberata e troverà in Donald (il nostro dolce e premuroso maritino) un nuovo ospite. Da questo momento ogni incubo si tramuterà in realtà , trascinandoci in un vortice di violenza e di terrore senza sosta, culminante in un frenetico epilogo ricco di tensione e di violenza.
Trattandosi di un vero e proprio film interattivo (basti pensare che è stata una delle prime avventure grafiche realizzate con la tecnica del full-motion video), Phantasmagoria non riserva enigmi particolarmente complessi. Oltre a dover raggiungere determinate location, o a dover applicare in modo scontato oggetti rinvenuti in precedenza, non c’è nulla di particolarmente stimolante per gli enigmisti più incalliti. L’interfaccia di gioco è di una semplicità disarmante, senza contare che avremo a disposizione l’aiuto dello scheletrico Custode dei Suggerimenti sempre pronto ad indicarci cosa fare nei rarissimi casi di difficoltà . La carenza strutturale degli indovinelli (l’unico leggermente complesso è lo storico utilizzo del giornale sotto la porta per recuperare la chiave di una stanza chiusa dall’interno) è essenzialmente dovuta all’esaltazione filmica dell’intero plot, che anche per quanto riguarda la durata pare sia stato concepito in termini cinematografici (nonostante le sue dimensioni fossero ben cinque volte superiore agli standard di una sceneggiatura tradizionale). E’ un’ulteriore prova di questa tesi, sia la scelta dell’ambientazione che la trama di fondo, costituita dall’immagine di una dolce coppia di sposini che vede la propria vita coniugale sconvolta dagli elementi sovrannaturali dell’abitazione in cui risiedono, che appare come un chiaro richiamo colmo di ammirazione al film
Shining.
I dialoghi non prevedono una scelta multipla, ma sono affidati al giocatore tramite un semplice click sull’eventuale interlocutore, apparendo come un raccordo naturale tra una scena e l’altra, con contenuti dallo spessore tipico del genere horror, volti semplicemente ad accrescere la tensione. A tal proposito, è bene sottolineare la capacità di far sobbalzare lo spettatore ad ogni occasione possibile. Tutto si presta all’horror senza riserve, persino l’aggiunta di improbabili elementi di arredo come una bacheca da luna-park contenente una chiromante meccanica che riesce a predire il nostro nefasto futuro, il tutto giustificato da una discreta sceneggiatura.
Il comparto tecnico oggi apparirebbe estremamente limitato, ma non bisogna ingiustamente denigrare uno dei capisaldi dell’evoluzione videoludica in ambito di avventure grafiche. Il solito dilemma, che ci si ritrova ad affrontare in materia di giudizi riguardanti un prodotto vecchio visto in un’epoca nuova, viene sciolto dalla scorrevolezza narrativa (a volte eccessiva per un videogame) e dall’ottima interpretazione degli attori chiamati a recitare per decine di ore di fronte ad un bluescreen (peccato ci siano alcuni bloopers). Nonostante la qualità degli ambienti farebbe storcere il naso agli odierni giocatori di avventure grafiche, non si può negare che ottengano l’effetto voluto, essendo carichi di tensione e di un costante senso di inquietudine, sensazioni accentuate dalla presenza di un’eccezionale colonna sonora originale (il main theme è un brano cantato da un coro gregoriano composto da 135 persone).
Gli ampi margini di miglioramento, in termini di interazione e grafica, ottenuti nel corso degli anni, hanno contribuito ad illudere gran parte del pubblico e della critica, portando a credere che le avventure grafiche fossero il mezzo più ovvio che ci avrebbe condotto ad una totale interattività , se non addirittura alla famosa realtà virtuale. Questo, secondo me, è il motivo per cui molti critici, poco attenti a quello che è diventato un vero e proprio genere (più che una forma di evoluzione virtuale), ritengono che gli adventure’s games abbiano un piede nella fossa. Invece Phantasmagoria si fregia di una semplicità che coglie appieno lo spirito di videogioco che tutti gli appassionati del genere posseggono e si aspettano, senza inutili fronzoli o espedienti fini a se stessi. In sostanza, è la madre di tutte le avventure grafiche da un punto di vista del concept, intrisa del fascino tipico per il quale questa tipologia di videogame furono creati, ossia la capacità di rendere il giocatore un curioso protagonista capace di interagire quanto basta con l’ambiente circostante, stuzzicando (e talvolta deludendo) la creatività e l’acume di un affascinato spettatore.