The Book of Unwritten Tales narra l'eccitante e travolgente ricerca di un artefatto leggendario. Un vecchissimo archeologo Gremlin è l'unico che sa dove trovarlo. Purtroppo un mago e un enorme troll lo rapiscono per costringerlo a rivelare il segreto. Un involontario terzetto di eroi - una fata, uno gnomo e un umano - si mettono in marcia per salvarlo e per non far cadere il mondo nelle mani dei perfidi nemici.
Ah, cara Germania, landa felice che ha continuato a finanziare senza sosta il genere delle avventure anche nei suoi momenti di maggiore difficoltà . É proprio un gruppo di sviluppatori teutoni, che debuttano sotto l'etichetta
King Art, a partorire
The Book of Unwritten Tales, un’avventura comica di ambientazione fantasy localizzata di recente in lingua italiana. Non si tratta comunque di ragazzi senza alcuna esperienza nel campo, in quanto si sono già occupati di gran parte dei dialoghi e di un po' di puzzle design in
Black Mirror 2. Sebbene proprio il comparto narrativo di quest’ultimo abbia ricevuto reazioni contrastanti, lo sviluppo di un brand del tutto nuovo reca benefici e gli sviluppatori sembrano muoversi in una dimensione a loro più congeniale, che affonda le sue radici nei classici del genere ed è fortemente reminiscente della geniale mistura sarcastico-fiabesca di
Simon the Sorcerer.
La volontà di fare il verso alle produzioni cinematografiche o videoludiche del passato sarà una costante di tutta la vostra avventura; i più attenti tra i lettori si saranno accorti che lo stesso trailer ufficiale non è altro che una rivisitazione di quello di una delle espansioni del popolare
World of Warcraft (
Wrath of the Lich King), ma non mancheranno riferimenti al
Signore degli Anelli, a
Monkey Island e a
Discworld.
L'espediente narrativo che dà inizio alla storia è, prendendo in prestito un termine del gergo cinematografico, il più classico dei
McGuffin, un artefatto magico dai poteri senza pari, da recuperare prima che cada nelle mani sbagliate; non il massimo dell’originalità e non vi nascondo che l’intera trama non sia particolarmente profonda, né si assisterà a colpi di scena spettacolari. Niente di cui scandalizzarsi comunque, perché le attenzioni di
The Book of Unwritten Tales sono totalmente concentrate sull’elemento comico. Gli autori stessi sembrano essere consci che la trama sia solo un elemento di contorno; forse non è un caso che il gremlin che ne introduce i particolari durante il prologo si chiami appunto McGuffin.
Il gioco permette di controllare tre personaggi (anzi quattro se includiamo uno strano animaletto peloso dalla razza indecifrabile), che uniranno le loro forze e si imbarcheranno (non proprio letteralmente, visto che si tratta di una nave volante) alla ricerca di questo oggetto misterioso.
Wilbur, il nano protagonista delle prime fasi di gioco, è a dir poco adorabile; le sue aspirazioni da mago che cozzano con le tradizioni della sua razza ci rendono subito suoi tifosi e la sua infantile ingenuità è usata sapientemente per sottolineare le assurdità di alcuni dei suoi interlocutori. Il suo doppiaggio con inflessione vagamente scandinava è gradevole e orecchiabile (e penso che ci vorrà qualche giorno prima che la sua voce sibilante che dice “Master Brewer” mi esca dalla testa).
Nate, un umano arrogante ma di buon cuore, è invece il mattatore delle parti finali di gioco. Proprio in quelle sezioni, controllare questo personaggio è una ventata d’aria fresca, che si pone in totale opposizione al carattere di Wilbur. Se la verve comica di quest’ultimo trova il suo spazio nell’essere gentile e pacato, quella di Nate è invece senza peli sulla lingua, con una spruzzata di pragmatismo e cattiveria.
Ivo è un’elfa sarcastica e furba, che distribuisce le sezioni di gioco a lei dedicate lungo tutto l’arco narrativo; a mio modesto parere, forse il personaggio meno riuscito in termini umoristici, ma funziona perfettamente come spalla, specialmente insieme a Wilbur, che non manca mai di far notare candidamente quando la sua astuzia degenera in saccenza.
Sebbene le caratterizzazioni dei protagonisti siano piĂą che dignitose, uno dei punti di forza a livello narrativo di
The Book of Unwritten Tales è però il cast dei personaggi secondari; in questo mondo fantasy ricco e ben costruito, non può mancare un’enorme varietà di razze e di personalità . Senza anticiparvi più del necessario, incontrerete draghi, folletti, non-morti, mercanti, orchi e chi più ne ha più ne metta, ognuno di essi con una caratterizzazione tendente al ridicolo in modo che si prestino agli sberleffi dei protagonisti, che si sviluppano tramite la tradizionale struttura di dialoghi a risposta multipla. Se volete un assaggio della tipologia di umorismo che caratterizza questa produzione, scaricate senza alcun indugio la demo del gioco, che include uno dei dialoghi più incisivi, un’efficace parodia sull'ossessione dei giochi di ruolo online.
La traduzione in italiano è ottima sotto tutti i punti di vista e rende bene i giochi di parole. Come bonus, segnalo che essa aggiunge i sottotitoli ai FMV, che non erano originariamente presenti nella release inglese.
Passiamo ora ad analizzare il lato tecnico; sono sicuro che abbiate avuto modo di ammirare da soli alcuni degli screenshot. Posso affermare senza mezzi termini che, almeno a livello visivo, siamo all’eccellenza nel genere. Gli sfondi sono stati pre-digitalizzati con l’ausilio dell’
Ogre3D, un motore grafico che giĂ ha mostrato le sue capacitĂ in giochi quali
Ankh e
Ceville; dopo averli trasferiti in 2D, per evitare che risultino troppo artificiosi, essi sono stati rifiniti a mano. Sebbene un residuo di sofisticazione balzerà agli occhi più esperti, le 60 locazioni del gioco sono coinvolgenti, dettagliate e ricche di colori. É possibile selezionare una grande varietà di risoluzioni, ma solo a schermo intero. Per quel che riguarda le animazioni, nonostante ci manteniamo sempre su altissimi livelli, si evidenzia qualche piccola magagna, ad esempio si è evitato di animare la maggior parte degli oggetti mentre vengono raccolti. Le cutscene video, sebbene molto ben curate, sono brevi e rare. Le musiche catturano molto bene l'atmosfera, anche se non esattamente memorabili; il doppiaggio in lingua inglese è anch'esso di buona qualità .
L'interfaccia di gioco merita un discorso a parte. É evidente che i
King Art abbiano puntato sulla semplificazione più estrema, rendendo possibile qualsiasi interazione ambientale con un singolo click del tasto sinistro del mouse; i primi click forniscono una descrizione dell’oggetto, il cui hotspot può eventualmente scomparire nel caso in cui esso non sia parte di alcun enigma oppure permetterne l’aggiunta all’inventario. Chiamatemi pure tradizionalista, ma non ho apprezzato per nulla questa scelta; essa riduce il senso di libertà del giocatore e lo costringe a leggere qualsiasi riga di testo, oltre a fornire un indizio troppo esplicito su quali oggetti concentrarsi nel prosieguo.
E se ciò non bastasse, c’è persino un ulteriore grado di semplificazione; il gioco evidenzia con una scritta le combinazioni corrette, mentre non permette alcuna interazione in caso contrario. Sebbene questa caratteristica eviti all’utente la frustrazione di sentirsi dire in continuazione “Non funziona”, essa elimina del tutto l'incertezza dalla sperimentazione e la soddisfazione della risoluzione. Rende inoltre la combinazione di oggetti dell’inventario fin troppo banale; vi basterà infatti far scorrere velocemente un oggetto su tutti gli altri per controllare se c’è un’eventuale corrispondenza. Un vero peccato, anche perché gli enigmi in sé sono estremamente logici; troppo spesso, però, mi sono ritrovato ad ottenere per puro caso la soluzione di un problema che mi sarebbe stato assegnato successivamente. Le uniche parti in cui sono rimasto bloccato erano semplicemente dovute al non sapere di aver sbloccato una nuova opzione di dialogo con i personaggi; di sicuro non il massimo per il soddisfacimento dell’ego di un enigmista.
A parziale redenzione, alcune zone permettono di controllare più personaggi contemporaneamente, di scambiare oggetti e di risolvere alcuni puzzle sfruttando le loro peculiari caratteristiche fisiche. Il sistema di passaggio dei controlli poteva però essere reso più fluido, in quanto è previsto che il personaggio raggiunga un determinato punto della schermata prima che se ne possa controllare un altro (un difetto su cui però si può tranquillamente soprassedere, visto che il processo può essere velocizzato con un doppio click). C’è anche una particolare sezione che permette di scegliere quale dei tre personaggi controllare, ma le soluzioni degli enigmi per ognuna delle tre alternative sono pressoché identiche; una constatazione che ho effettuato con sommo rammarico, ma mi rendo conto che un gruppo al debutto non può ancora permettersi di far levitare troppo tempi e costi di produzione (lo stesso Hal Barwood dichiarò che l’aggiunta del famoso bivio azione/squadra/ingegno in
Indiana Jones and the Fate of Atlantis ha richiesto 6 mesi extra di programmazione).
L'eventuale frustrazione del pixel hunting è risolta da un sistema di evidenziamento degli hotspot, feature ormai comune nelle avventure europee, accessibile tramite la barra spaziatrice. Per variare leggermente il gameplay sono stati aggiunti un paio di minigame di matrice arcade, di cui forse non si sentiva la necessità , ma che non dovreste avere problemi a risolvere (sempre che non abbiate rotto uno dei vostri tasti direzionali durante una sessione di
Super Meat Boy, com’è capitato al vostro recensore).
Nonostante gli enigmi siano semplici, la longevità del titolo è comunque veramente ragguardevole e si attesta intorno alle 18 ore. Il gioco alterna sapientemente capitoli molto lineari a vaste regioni da esplorare; forse un’unica nota negativa è l’ultimo capitolo, che, nonostante parta da un’idea di base molto buona, ricicla tutte le ambientazioni dal capitolo precedente e rende il finale piuttosto frettoloso. Dubito anche che vedremo il seguito delle avventure del nostro terzetto tanto presto; è stato difatti annunciato che il prossimo gioco della saga,
The Critter Chronicles, è un prequel.
In breve, un’avventura che gusterete con un sorriso sulle labbra, con valori di produzione elevati, scenari maestosi, personaggi di cui è facile affezionarsi, ottima longevità , ma con un’interfaccia che semplifica troppo la risoluzione degli enigmi. Il principale difetto che mi sento di attribuire ai ragazzi della King Art è di non aver saputo osare più di tanto, rimanendo sempre nel territorio consolidato da produzioni del passato, perciò non totalmente in grado di trascendere il proprio genere e di lasciare un segno nei non appassionati. Consiglio comunque a tutti l’acquisto (la versione in italiano è in esclusiva sulla piattaforma
Zodiac); non mi sorprenderebbe se la nutrita fetta di pubblico di stampo piĂą nostalgico possa fregiarla del titolo di migliore avventura del 2012.