«Non temere Alchimista, ci penso io a mettere in fuga quei bastardi» disse l'orco, dopodiché urlò qualcosa alla sua viverna che cominciò una rapida picchiata verso la foresta. Zarag fece in modo che la sua cavalcatura emettesse terribili versi a indirizzo degli uomini-gatto, nel tentativo di spaventarli.
Ma gli abitanti di Llewendor non erano facili da intimidire, e in tutta risposta le frecce aumentarono. Hixakar venne colpito da numerosi proiettili, e cominciò a perdere quota.
«No, no! Maledizione! Reggiti alchimista!» furono le ultime parole dell'orco prima che la besta si schiantasse al suolo. Erithar non vide bene cosa accadde; prima tutto si fece confuso, poi venne il buio.
Fu un tocco estraneo a risvegliarlo. L'Alchimista Nero si alzò di scatto; si era fatto tardi, molto tardi. La notte era quasi passata, e tra non molto sarebbe stata l'alba.
L'uomo che aveva destato Erithar era abbastanza giovane, con i capelli lunghi castani raccolti in una coda e gli occhi chiari. Le vesti lasciavano intendere che senza dubbio si trattava di un Alchimista Bianco.
«Muori!» fu la prima reazione istintiva di Erithar, che schiantò l'altro contro un albero, afferrando poi un dente di troll per trafiggergli la gola.
«Aspetta! Non sono tuo nemico!» esclamò l'altro
«Ma io sono il tuo, e adesso ti ucciderò!» fece per colpirlo, ma un tremendo boato all'orizzonte lo distolse. Vide delle luci colorate all'orizzonte, e udì dei rumori di battaglia.
«Alandor! Dev'essere lui...» mormorò fra sè.
«Si, è lui» disse l'altro «Io e i miei compagni abbiamo chiesto aiuto agli uomini-gatto di Llewendor per fermarlo, ma pare essere invincibile. C'è stato un terribile scontro ed io sono rimasto solo. Il mio nome è Noran, Noran Saidwor» disse con tono pacifico l'Alchimista Bianco.
Un terribile pensiero attraverò la mente di Erithar; decise che avrebbe risparmiato temporaneamente il suo odiato nemico.
«Voglio farti una domanda, Alchimista Bianco. Hai mai sentito parlare di Varen Arenvos?»
Noran esitò per un momento.
«Era... è stato il mio maestro molti anni fa, fino a che un giorno andò via. Mi scrisse solo una volta, nella lettera mi disse che era partito per un pericoloso viaggio che aveva lo scopo di distruggere la Fiamma Eterna, e che era successo qualcosa che aveva sconvolto la sua esistenza. Immagino che poi sia stato ucciso... ma tu come lo conosci?»
Erithar guardò Noran con sguardo vitreo. Era rigido, e tremava. Una miriade di sensazioni si agitavano dentro di lui; confusione, paura, rabbia, e molte altre che non sapeva identificare.
«E' strano... ma i tuoi occhi mi ricordano tanto quelli del mio maestro» disse sorridendo l'altro.
«Taci!» urlò Erithar, gettandolo a terra. Poi si sedette sull'erba e nascose la testa fra le mani.
«Chi... chi sono io? Cosa sono io?»
Noran si avvicinò, e mise una mano sulla spalla dell'Alchimista Nero
«Noi siamo ciò che decidiamo di essere, i nostri natali possono voler dire tutto e niente. Ma forse è vero che, come dicono i sacerdoti, ciascuno di noi ha un destino segreto e una natura che prescinde ciò che pensiamo o sentiamo, e solo seguendo questa natura e questo destino possiamo trovare la vera felicità.
Come ti chiami ragazzo?»
«Erithar... Erithar Daen»
I due rimasero a fissare per diverso tempo le luci all'orizzonte, che non avevano mai fine. Nonostante la drammaticità del momento, da lontano pareva quasi un arcobaleno notturno, che dava un poco di serenità a due anime tormentate.
Ma gli abitanti di Llewendor non erano facili da intimidire, e in tutta risposta le frecce aumentarono. Hixakar venne colpito da numerosi proiettili, e cominciò a perdere quota.
«No, no! Maledizione! Reggiti alchimista!» furono le ultime parole dell'orco prima che la besta si schiantasse al suolo. Erithar non vide bene cosa accadde; prima tutto si fece confuso, poi venne il buio.
Fu un tocco estraneo a risvegliarlo. L'Alchimista Nero si alzò di scatto; si era fatto tardi, molto tardi. La notte era quasi passata, e tra non molto sarebbe stata l'alba.
L'uomo che aveva destato Erithar era abbastanza giovane, con i capelli lunghi castani raccolti in una coda e gli occhi chiari. Le vesti lasciavano intendere che senza dubbio si trattava di un Alchimista Bianco.
«Muori!» fu la prima reazione istintiva di Erithar, che schiantò l'altro contro un albero, afferrando poi un dente di troll per trafiggergli la gola.
«Aspetta! Non sono tuo nemico!» esclamò l'altro
«Ma io sono il tuo, e adesso ti ucciderò!» fece per colpirlo, ma un tremendo boato all'orizzonte lo distolse. Vide delle luci colorate all'orizzonte, e udì dei rumori di battaglia.
«Alandor! Dev'essere lui...» mormorò fra sè.
«Si, è lui» disse l'altro «Io e i miei compagni abbiamo chiesto aiuto agli uomini-gatto di Llewendor per fermarlo, ma pare essere invincibile. C'è stato un terribile scontro ed io sono rimasto solo. Il mio nome è Noran, Noran Saidwor» disse con tono pacifico l'Alchimista Bianco.
Un terribile pensiero attraverò la mente di Erithar; decise che avrebbe risparmiato temporaneamente il suo odiato nemico.
«Voglio farti una domanda, Alchimista Bianco. Hai mai sentito parlare di Varen Arenvos?»
Noran esitò per un momento.
«Era... è stato il mio maestro molti anni fa, fino a che un giorno andò via. Mi scrisse solo una volta, nella lettera mi disse che era partito per un pericoloso viaggio che aveva lo scopo di distruggere la Fiamma Eterna, e che era successo qualcosa che aveva sconvolto la sua esistenza. Immagino che poi sia stato ucciso... ma tu come lo conosci?»
Erithar guardò Noran con sguardo vitreo. Era rigido, e tremava. Una miriade di sensazioni si agitavano dentro di lui; confusione, paura, rabbia, e molte altre che non sapeva identificare.
«E' strano... ma i tuoi occhi mi ricordano tanto quelli del mio maestro» disse sorridendo l'altro.
«Taci!» urlò Erithar, gettandolo a terra. Poi si sedette sull'erba e nascose la testa fra le mani.
«Chi... chi sono io? Cosa sono io?»
Noran si avvicinò, e mise una mano sulla spalla dell'Alchimista Nero
«Noi siamo ciò che decidiamo di essere, i nostri natali possono voler dire tutto e niente. Ma forse è vero che, come dicono i sacerdoti, ciascuno di noi ha un destino segreto e una natura che prescinde ciò che pensiamo o sentiamo, e solo seguendo questa natura e questo destino possiamo trovare la vera felicità.
Come ti chiami ragazzo?»
«Erithar... Erithar Daen»
I due rimasero a fissare per diverso tempo le luci all'orizzonte, che non avevano mai fine. Nonostante la drammaticità del momento, da lontano pareva quasi un arcobaleno notturno, che dava un poco di serenità a due anime tormentate.