Viaggia con Nigel Danvers in un fiabesco villaggio sulla costa orientale dell'Inghilterra. Usa tutte le tecniche utilizzate dai reali investigatori dell'occulto e scopri antichi misteri e tesori. Ma attento, non tutti gli abitanti del paesino ti aiuteranno, sia i vivi che i morti. Omicidi, misteri e sorprese ti attendono.
In campo musicale, un personaggio come Jonathan Boakes, l’autore di
The Lost Crown: Un’Avventura di Fantasmi, si potrebbe definire come una
one-man band. Infatti, dietro ad uno pseudonimo (in questo caso
Darkling Room) in cui pare ci sia un team di persone, in realtà se ne cela solamente una, la quale si occupa in sostanza tutti gli “strumenti musicali”. Boakes, come nei suoi
precedenti lavori, ha seguito sia la sceneggiatura sia il comparto tecnico dell’intero gioco, avvalendosi di pochissimi collaboratori e seguendo personalmente tutti gli aspetti che lo riguardano. Di one-man band di livello come
Burzum o
Mike Oldfield ce ne sono ben poche. Nel campo delle avventure, Jonathan “Darkling Room” Boakes potrà dire la sua e reggere lo scomodo paragone con questi geni musicali?
In
The Lost Crown vestiamo i panni di Nigel Danvers, un tranquillo impiegato che si ritrova nei guai a causa della sua ficcanasaggine. Il nostro protagonista, infatti, lavora per la Hadden Corporation, una ditta che produce strumenti elettronici. Una notte, navigando su internet, al posto di guardare le donnine nude come fanno tutti, Nigel si collega al sito dell’azienda e scopre casualmente alcuni documenti altamente confidenziali riguardanti alcuni esperimenti che la Hadden sta svolgendo in gran segreto. Si ritrova così due gorilloni mandati dal suo capo con il fiato sul collo e intenzionati a cambiargli i connotati (in realtà gli farebbero pure un favore, visto quant’è brutto). Preso il primo treno che è capitato per darsela a gambe, Nigel si ritrova per una serie di circostanze a Saxton, una “ridente” cittadina della Cornovaglia in cui pare sia nascosta un’antica e preziosissima corona anglosassone. Affascinato dalla leggenda, Danvers decide di fermarsi e di scoprire dove si trova il tesoro. Durante la sua permanenza in paese, il nostro eroe avrà a che fare però con una marea di altri misteri da rivelare, tutti riguardanti gente morta e luoghi posseduti da spiriti che non ne vogliono sapere di andarsene in pace all’altro mondo. Tra un fantasma e l’altro quindi, grazie anche all’aiuto di Lucy Reubans, una ragazza del posto, il nostro compito è di sciogliere la matassa che lega tra loro tutte le leggende del posto e cercare di trovare questo benedetto tesoro, impresa più facile a dirsi che a farsi.
L’interfaccia del gioco è ridotta ai minimi termini: ci sposteremo solamente con il fidato mouse e il cursore avrà la forma di una freccia per indicare eventuali uscite, la forma di una lente d’ingrandimento per indicare oggetti che si possono esaminare e un’iconcina apposita per gli hotspot in cui è richiesto un oggetto. L’inventario è a scomparsa ed è situato nella parte bassa dello schermo, mentre cliccando in alto è possibile richiamare il menù principale. Da un po’ di tempo, le avventure grafiche ci hanno abituato all’utilizzo di diversi gingilli tecnologici come palmari o cellulari, da utilizzare nei casi più disparati e sempre presenti nelle nostre tasche. Anche
TLC non è da meno e dal secondo giorno di gioco in avanti (l’avventura è divisa in cinque giornate) avremo dalla nostra parte il “kit del perfetto acchiappafantasmi”. La prima, grossa delusione arriva già quando ci viene recapitato il suddetto kit: si tratta, infatti, di un “pacco” a tutti gli effetti. In una storia come questa ci si aspetterebbe qualcosa d’iper-tecnologico e, perché no, anche d’inesistente, invece la nostra attrezzatura si riduce a una banalissima fotocamera digitale, una videocamera con visore notturno e un altrettanto triste dittafono. Che cosa faremo con questi oggetti? Nulla d’ingegnoso, li utilizzeremo per ciò per cui sono stati progettati: registrare audio e video e scattare fotografie.
Altra nota dolente è il comparto visivo. La risoluzione è bloccata all’ormai vetusta 1024x768 (se si possiede un monitor grande, davvero un pugno in un occhio) e i personaggi sono realizzati con una povertà di cura e di poligoni disarmante. Nigel già è bruttarello di suo, perché caspita vestirlo come
Andy Capp? Le animazioni poi peggiorano ulteriormente la faccenda: avete mai visto un uomo di Neanderthal che pattina? No, vero? Beh, basta guardare come cammina il protagonista di
TLC e si avrà ben presto l’idea di come sarebbe potuto essere: braccia a penzoloni, espressione persa nel vuoto e piedi che scivolano su qualsiasi tipo di pavimentazione e terreno. Per quanto riguarda i fondali invece, è stata adottata una strategia “furba”. Gli scenari che fanno da sfondo alla nostra avventura sono, infatti, delle fotografie digitalizzate e modificate ad hoc. Il problema, però, è che il contrasto di colori tra le foto e i personaggi poligonali sarebbe stato tremendo. Boakes ha pensato allora di ovviare rendendo tutto in bianco e nero e il risultato, in fin dei conti, non è malvagio. Quello che personalmente non mi è andato giù, è che qua e là siano sparse macchie di colore, quasi a voler scimmiottare (e scomodare inutilmente) il famosissimo cappottino rosso di
Schindler’s List. Comunque, tornando alle varie location del gioco, c’è da dire che
The Lost Crown ne offre moltissime, ma la maggior parte di esse è vuota e futile ai fini degli enigmi e dell’esplorazione. D’accordo, si è voluta ricostruire fedelmente una
vera cittadina della Cornovaglia, ma durante la nostra permanenza dovremmo esplorarla più e più volte in lungo e in largo e l’assenza di una mappa che permetta di spostarsi con maggiore velocità unita all’eccessiva flemma e lentezza con cui il buon Nigel si muove, rendono il nostro peregrinare davvero tedioso e frustrante. Non aiutano nemmeno gli scatti “artistici” delle locazioni, completamente ribaltate di schermata in schermata solo per questioni estetiche, poiché disorientano da morire. Un discorso a parte lo meritano poi i fantasmi, che in un gioco che punta ad essere un horror ricco di atmosfera come questo dovrebbero essere l’elemento meglio realizzato. Anche qui, purtroppo, la situazione non è delle migliori. Tutto si riduce a bagliori, “nebbie oscure” e personaggi vagamente trasparenti, anche perché evidenti limiti tecnici hanno in pratica imposto questo tipo di scelta.
L’altro elemento principe di un horror che si rispetti è un comparto audio di prim’ordine.
TLC purtroppo si rivela assolutamente insufficiente anche in questo campo. Le musiche, più che incutere senso di timore stimolano la sonnolenza (a cominciare dall’insopportabile strazio presente nell’introduzione) e le voci delle varie presenze stufano dopo qualche minuto, poiché riciclate di continuo. Durante tutto il gioco sentiremo una voce dire “Here…” Vagamente inquietante all’inizio, ma dopo averla sentita una quindicina di volte, forse non fa più così paura. Anche il doppiaggio non è un granché. Le voci dei personaggi (doppiati in inglese) sono discrete in alcuni casi e pessime in altri, a partire dal protagonista doppiato da Boakes in persona. Chi meglio di lui avrebbe dovuto sapere con quale enfasi pronunciare le battute dei dialoghi? In teoria nessuno, in pratica, chiunque. A chiudere il cerchio ci sono poi i sottotitoli dell’edizione italiana: una montagna di errori di battitura e frasi tradotte in maniera approssimativa non aiutano a digerire la pillola, senza contare che i dialoghi sarebbero comunque parecchio scialbi anche nella lingua d’Albione.
Qualche riga fa parlavo di “lentezza”. Tutto il gioco è purtroppo caratterizzato da questo elemento. Il già citato modo in cui ci si muove, l’impossibilità di poter saltare i noiosissimi dialoghi e gli script che si ripetono ad oltranza ogni volta che si entra in una determinata location (non ci si potrà muovere fino a quando l’animazione o la frase prevista all’ingresso di uno scenario non è terminata) irritano anche il più paziente degli avventurieri. Anche gli enigmi sono alquanto noiosi e ripetitivi. Quello che faremo tutto il tempo è fotografare/filmare oggetti oppure semplicemente osservare roba. Tra l’altro, nel 90% dei casi non ci sarà nemmeno una frase di commento, l’analizzare qualcosa prevede giusto il fatto di vederla ingrandita e basta. Se non si esamina TUTTO, poi, il gioco non prosegue nemmeno piangendo in cinese. Girare in lungo e in largo a zero chilometri orari avendo come unico obiettivo quello di vedere oggetti ingranditi è davvero poco appassionante. L’apatia con cui ci si aggira per Saxton va a far scemare tutto quello che di horror ci dovrebbe essere nell’avventura e il risultato è che ci sembrerà di fare una tranquilla passeggiata in campagna. Non avremo mai paura, né avvertiremo il minimo senso di tensione. Anche durante gli “attacchi” di alcuni spiriti malvagi capiremo che in realtà non potrà succederci nulla e personalmente mi è anche capitato di mollare Nigel durante un presunto “assalto”, andarmi a fare un panino perché mi ero scocciato e ritrovarmelo lì a guardare con la solita espressione da pesce “l’entità malvagia” che nel frattempo non si era mossa di un millimetro. In mezzo a tutti questi difetti deprimenti, c’è però un punto d’eccellenza. Il background della storia e la documentazione che andremo a leggere durante il gioco sono curatissimi e sono gli unici due elementi che tengono in piedi la baracca. L’unico motivo che ci spinge a proseguire è la lettura degli avvenimenti passati, delle leggende e delle storie popolari che scopriremo durante l’avventura, scritte con cura e precisione maniacale e notevolmente interessanti. Qualche altra buona idea c’è, come la sezione in cui si controllano le telecamere nel cottage o la parte nella cripta in cui sono presenti un paio di buoni enigmi di tipo meccanico, ma è davvero troppo poco per riuscire ad affrontare le trenta ore di gioco previste senza annoiarsi. In genere ci si lamenta della brevità dei giochi odierni,
The Lost Crown soffre del problema opposto: è inutilmente lungo e la maggior parte degli eventi accadono giusto per allungare il brodo, poiché la “ciccia” della trama vera e propria è ben più misera.
L’avventura di Nigel Danvers è un mix di buone idee realizzate malissimo. Non mi va di mettere il dito nella piaga per quanto riguarda il comparto tecnico, su cui comunque noi avventurieri siamo anche abituati a chiudere un occhio, ma il fatto di non poter saltare nessuna animazione o skippare una linea di dialogo che si è già sentita altre cento volte e la lentezza con cui la storia si trascina sono davvero difficili da mandare giù. Jonathan Boakes ha assoluto bisogno di qualcuno che sappia scrivere una sceneggiatura e dei dialoghi, è tutto troppo amatoriale perché risulti appassionante. Se non avete paura dei ritmi narrativi tremendamente lenti e non vi annoia girare in lungo e in largo senza che accada nulla per ore, date pure una possibilità a
The Lost Crown: Un’Avventura di Fantasmi perché la storia di fondo è comunque buona e apprezzabile. Se però le vostre attese riguardavano un gioco capace di spaventarvi e di tenervi sempre in tensione,
guardate altrove, perché con
TLC lo sbadiglio è sempre dietro l’angolo.